XVII secolo, scuola genovese, La Chioma di Berenice
XVII secolo, scuola genovese
La Chioma di Berenice
Olio su tela, cm 87 x 125
Con cornice, cm 112 x 147
Il dipinto presenta un tema iconografico assolutamente raro e misconosciuto, quello della Chioma di Berenice, di derivazione mitologica. La protagonista di questo dipinto è Berenice Evergete, regina cirenaica moglie di Tolomeo III, Faraone d’Egitto: la donna, di straordinaria bellezza, aveva dei lunghissimi e lucidi capelli, motivo di ammirazione e d’invidia per tutte le donne del regno. Poco dopo le nozze, Tolomeo III partì per una campagna militare in Siria, dall’esito assai incerto, e Berenice, preoccupata per l’incolumità del marito, fece voto solenne alla dea Afrodite, offrendole la propria splendida chioma se si fosse dimostrata benevola e avesse fatto tornare incolume e vittorioso sui nemici il proprio amato. Tolomeo tornò trionfante dalla campagna militare e Berenice, mantenendo fede alla promessa, una volta ricevuta da un messaggero la notizia del successo bellico del Faraone, racchiuse i suoi bei capelli in una lunga treccia che tagliò e portò in dono al tempio dedicato ad Afrodite. Il giorno seguente però, della preziosa offerta non vi era più traccia. Ci fu un gran vociare e qualcuno chiamò in causa il sacerdote del tempio dedicato al dio egizio Serapide accusandolo di aver rimosso la treccia scandalizzato per l’oltraggio che la regina avrebbe fatto agli dèi locali offrendo il suo voto ad una divinità greca. Berenice si disperò e suo marito, tornato dal fronte, mosso dalla rabbia e dall’oltraggio, fece chiudere tutte le porte della città e la fece setacciare invano. A placare la frenetica ricerca della preziosa offerta della regina furono le parole di Conone di Sarno, grande saggio, matematico, astrologo e astronomo di corte, noto per la sua amicizia con Archimede da Siracusa. Conone, alzando le dita verso il cielo, indicò tre stelle e fece notare che non c’era da preoccuparsi di nulla, in quanto gli dèi avevano così gradito l’offerta da innalzare la treccia al cielo e fissarla nel firmamento. Fu così che da quel giorno, quelle tre stelle che formano una piccola V nei pressi del centro della coda del carro dell’Orsa Maggiore, grazie a Conone, presero il nome di Coma (o Chioma) di Berenice.
Fu Callimaco – il più celebre dei poeti alessandrini, uomo erudito e di grande cultura che visse dal 315 al 240 a.C. – che per primo narrò questa storia in un poemetto di cui, purtroppo, sono giunti a noi soltanto pochi frammenti, solo due porzioni di papiro provenienti da Ossirinco per un totale di 40 versi. Fortunatamente, il testo fu magistralmente tradotto in latino da Gaio Valerio Catullo (85-54 a.C.) che, inserendolo tra le sue opere, permise la divulgazione del mito, noto sino ai giorni nostri: ci basti pensare Ugo Foscolo (1778-1827) ne scrisse una versione in italiano volgare nel 1803.
Berenice (Cirene, 25 dicembre 267 a.C. – 221 a.C.) fu una figura femminile molto importante nel mondo ellenico. Ella fu regina consorte di Cirene dal 250 al 249 a.C. e dell’Egitto dal 246 al 222 a.C. e amministrò le due terre mentre Tolomeo III era impegnato nella terza guerra siriaca, la cosiddetta “guerra laodicea”. Nel 222 a.C. Tolomeo III morì e, con l’ascesa al trono di Tolomeo IV Filopatore, Berenice fu assassinata insieme ad altri membri della famiglia reale, sospettati di una congiura ai danni del faraone neoeletto. Dopo la loro morte, Berenice e l’amato marito Tolomeo vennero deificati ed inseriti nel culto dinastico con il nome di Dei Evergeti.
In questo dipinto, la regina, deposta la corona, viene rappresentata nell’atto di raccogliere, con l’aiuto di una serva, i suoi folti capelli in una treccia: dopo aver ricevuto il messaggio della vittoria in battaglia di Tolomeo dal giovane messo rappresentato sulla sinistra della composizione, la regina è infatti pronta a rispettare il voto e a donare i suoi capelli alla potente dea Afrodite.
La rappresentazione di regine ed eroine del mito e della storia antica è comune per quanto concerne la pittura norditaliana del Seicento. La moda della pittura barocca aveva diffuso i volti di donne della storia, immagini originali di virtù e sensualità che talvolta erano riunite in stanze riservate, una specie di corte femminile da guardare e ricordare nell’esempio: Didone, Cleopatra, Giuditta e Lucrezia erano senza dubbio le più rappresentate. Sebbene meno fortunata a livello iconografico, anche la figura di Berenice ricorre in alcuni dipinti del Seicento e del Settecento, tra cui si ricordano quello del Padovanino (1588-1649), oggi in collezione privata (esposto in occasione della recente mostra Le trecce di Faustina. Acconciature, donne e potere nel Rinascimento, tenutasi a Vicenza presso le Gallerie d’Italia nel 2023), entro cui la regina consorte del Faraone è presentata nell’atto di donare la sua folta treccia al sacerdote del tempio di Afrodite, quello di Rosalba Carriera (1673-1757) del Detroit Institut of Art, in cui la donna è rappresentata nell’atto di tagliarsi i capelli, e quello di Lorenzo Pécheux (1729-1821) della Galleria Sabauda di Torino. Il particolare schema iconografico di questo dipinto, che include i personaggi della serva e del messaggero con il cartiglio, così come oggetti quali il pettine e la corona, appare ripreso pedissequamente in La chioma di Berenice dell’allievo del Cavalier d’Arpino attivo in ambito veneto Francesco Ruschi (1610-1661): l’opera, datata attorno agli anni ’40 del ‘600 e oggi a Palazzo San Bonifacio a Padova, è molto probabilmente coeva rispetto a questo dipinto.
Il tema della treccia di Berenice gode di una relativa fortuna in area genovese, così come dimostrato dal bel dipinto del museo di El Paso in Texas. Sia il tema storico-mitologico che le atmosfere del dipinto fanno pensare che questo sia stato eseguito in ambito ligure: molte sono infatti le analogie con le opere dei due maggiori esponenti del barocco genovese, Domenico Piola (1627-1703) e Domenico Fiasella (1589-1669), a cui l’artista pare guardare per quanto concerne i colori, la pennellata e le fisionomie dei volti.
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