Coppia di capricci architettonici con scene mitologiche, olio su tela, pittore bolognese attivo nel XVIII secolo

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Coppia di capricci architettonici con scene mitologiche, olio su tela, pittore bolognese attivo nel XVIII secolo Misure: cm 164 x 164 cm x P 5 cm; tele 148 x 148 Prezzo: trattativa riservata Oggetto corredato da certificato di autenticità Le due grandi e pregevoli tele...
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Coppia di capricci architettonici con scene mitologiche, olio su tela, pittore bolognese attivo nel XVIII secolo

Misure: cm 164 x 164 cm x P 5 cm; tele 148 x 148

Prezzo: trattativa riservata

Oggetto corredato da certificato di autenticità

Le due grandi e pregevoli tele raffigurano due capricci architettonici, con scorci di colonnati ed edifici ad arcate di gusto classico, animati da figure. Le composizioni si caratterizzano per la complessità tipica della pittura barocca congiunta all’armonia con cui il pittore introduce i fastosi monumenti architettonici e l’utilizzo della prospettiva. Domina una cromia giocata sui toni dei bruni e ocra che si stagliano sul cielo azzurro. Anche l’inserimento delle figure per vivacizzare le vedute architettoniche si pone in equilibrio con l’insieme, apportando movimento e colore, con punte di rosso e di giallo.

Il capriccio architettonico, genere artistico che si fa strada nella pittura italiana a partire dal XVII secolo, è caratterizzato dalla raffigurazione di architetture fantastiche o invenzioni di tipo prospettico, talvolta combinate con elementi tratti liberamente dalla realtà. Le due tele sono un esplicativo esempio di questa tipologia e presentano un notevole interesse artistico.

All’interno di questi palazzi d’invenzione sono ambientate due scene tratte dalla mitologia romana o, più probabilmente dall’Eneide. La loro raffigurazione non è di semplice ed immediata comprensione.

La tela di sinistra mostra in alto, seduta su leggere e soffici nuvole la dea greca Giunone (Era nella mitologia greca) accompagnata dal suo animale simbolo, il pavone. Giunone indica un arcobaleno sotto al quale, in volo, è raffigurata la messaggera Iride. Figura mitica alata, figlia di Taumante e di Elettra, messaggera degli dei, in particolare di Giunone, Iride era identificata già dagli antichi con l'arcobaleno. Sono frequenti le comparse della dea in veste di messaggera nei poemi epici. Nell'Eneide appare alla fine del IV libro quando, incaricata da Giunone, aleggia sul capo della morente Didone e recidendole un capello, in atto di misericordia, pone fine all'agonia della regina che ebbe una relazione con Enea. Di nuovo nel V libro svolge una missione, sempre per Giunone: prende le sembianze dell'anziana Beroe e convince le donne troiane ad incendiare le navi per rimanere in Sicilia. Ancora all'inizio del IX libro dell'Eneide viene inviata, sempre da Giunone, ad avvertire Turno che Enea si è allontanato dal campo per incontrare Evandro e che è, quindi, il momento più propizio per attaccare i Troiani.

 

Nel dipinto qui presentato a sinistra, la lettura della scena risulta ancora più complessa. Una figura maschile discende dal cielo su un tappeto di vaporose nuvole. L’armatura che indossa, il fluttuante manto rosso e la potenza e austerità con cui si presenta suggeriscono l’identificazione con un dio. Egli appare ad un re, in quanto indossa una corona d’oro, il quale si inchina al suo cospetto con sommo rispetto. Tutto attorno diverse altre figure assistono sorprese e curiose alla scena. Potrebbe riferirsi nuovamente a quanto scrive Virgilio nell’Eneide. La notizia dell’amore sbocciato fra Enea e Didone, si è diffusa. Giove ordina a Mercurio, il messaggero degli dèi, di scendere a Cartagine, per convincere Enea a lasciare la regina e a riprendere il viaggio interrotto. Tuttavia il dio qui raffigurato con armatura e lancia è privo di quei riferimenti iconografici caratteristici di Mercurio e pertanto potrebbe anche essere identificato con il dio greco Marte (Ares nella mitologia greca).

La notevole qualità pittorica emerge sia dalla composizione d’insieme che dal modo in cui l’artista descrive le vedute con grande attenzione ai dettagli, alle lumeggiature e al ricercato, perfettamente realistico, chiaroscuro.

Stilisticamente l’autore dei dipinti va collocato tra i maestri quadraturisti attivi nella prima metà del XVIII secolo a Bologna. Sono evidenti i riferimenti alle maestose e scenografiche architetture progettate da i Galli da Bibbiena, famiglia di artisti attiva in campo artistico per oltre 150 anni prima a livello locale e poi su scala europea. Nello specifico si evidenziano forti vicinanze con le opere di Ferdinando Maria Galli, detto Ferdinando Galli da Bibbiena (Bologna, 1657 – 1743). Furono numerosi gli artisti che seguirono la produzione dei Galli da Bibbiena e tra questi Vittorio Maria Bigari (Bologna, 1692 – 1776) giunse a produrre opere molto vicine stilisticamente ai due dipinti in oggetto.

Maestose e decorative, le tele di forma quadrata presentano i capricci architettonici all’interno di un tondo bordato da un filetto in ocra che simula una cornice. Espediente scenografico molto amato durante l’epoca barocca che conferisce all’insieme una maggiore leggerezza e ne facilita l’inserimento in quadreria.

Le opere sono presentate all’interno di cornici a molura in legno intagliato.

Sono attualmente in corso studi storico artistici.

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