Maximilian Pfeiler (documentato dal 1694 al 1721), Natura morta con pesche, uva, fichi e melagrana, olio su tela
Maximilian Pfeiler (documentato dal 1694 al 1721)
Natura morta con pesche, uva, fichi e melagrana
Olio su tela, cm H 63,5 x L 47. Con cornice cm H 97,5 x L 85 x P 7,5
prezzo trattativa riservata
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La tela, di pregevole fattura, raffigura una natura morta composta da una splendida composizione di frutta ambientata in uno spazio all’aperto, del quale scorgiamo alcuni elementi trasparire sul fondo. Al centro della tela sono disposte, su di un piatto in argento, delle pesche, dei fichi e dell’uva. In secondo piano, adagiato su dei gradoni in pietra, è raffigurato un ricco grappolo d’uva bianca, dietro al quale rigogliose fronde di alberi fanno da sfondo e da quinta alla composizione. In primo piano, accanto ai fichi, si trovano delle campanelle bianche rampicanti. Sulla destra, un melagrano è raffigurato parzialmente, come se fosse in parte nascosto dalla cornice, espediente utile al pittore per movimentare la composizione e coinvolgere l’osservatore come se facesse parte dell’ambiente raffigurato.
L’opera è senz’altro attribuibile al pittore di nature morte Maximilian Pfeiler, attivo a Roma nel primo Settecento nell’orbita di Christian Berentz (Amburgo 1658- Roma 1722) e documentato dal 1694 al 1721. Sono ancora pochi i documenti relativi alla sua formazione e alla sua vita e carriera artistica. Tuttavia Gianluca Bocchi e Ulisse Bocchi nel 2000 tracciano una puntuale esamina dei suoi lavori certi e di quelli che possono essere restituiti, con ragionevole certezza, al suo corpus di opere. Ne emerge l’inclinazione dell’artista a proporre raffigurazioni di naturalia dall’aspetto decorativo sostenute da una talentuosa resa pittorica espressa con “libera e sciolta discorsività pittorica”. La sua personalità artistica si manifesta autonoma, benché dimostri la conoscenza dell’impaginazione romana utilizzata da altri pittori contemporanei. La frequentazione del grande maestro Christian Berentz rappresentò una tappa fondamentale nella formazione di Pfeiler, in grado di motivare la raffinatezza delle sue opere e le scenografiche e capricciose composizioni del periodo maturo. Secondo una tradizione dei naturamortisti, utilizzava cartoni predisposti in bottega, riproponendo nelle sue tele elementi tipici e caratterizzanti.
Il dipinto qui presentato riunisce molti fra i motivi sperimentati da Pfeiler nel corso della sua fortunata attività. Alcuni di essi - fichi e altri frutti riflessi su un piatto d’argento; pesche rosseggianti dalle lunghe foglie arricciate; il melone affettato posto su un vassoio, la tovaglia ricamata – derivano dai modelli del suo primo maestro, che Pfeiler include nel suo repertorio combinandoli instancabilmente in composizioni sempre più esuberanti, tipiche delle istanze decorative della natura morta tardo-barocca.
Ad un corpus di opere di piccolo formato e commissionate per i salotti borghesi romani può essere ricondotta l’opera in oggetto.
Per la varietà di motivi e la qualità con cui furono realizzati, questo dipinto si accosta in particolare a un dipinto presente in collezione privata, e posto qui di seguito a confronto, in cui ritroviamo i medesimi elementi caratterizzanti e una composizione del tutto simile. Nella comparazione tra le due tele si notano alcune varianti, come i limoni in primo piano, una pera tra le campanelle e una foglia posizionata al posto di un fico. In secondo piano, dietro al grappolo di uva nera, il pittore inserisce un melagrano.
Maximilian Pfeiler nella sua produzione più matura realizza composizioni altamente complesse e ricche, in cui inserisce putti, tappeti, cristalli e opulenti insiemi di fiori e frutta. Seguendo una moda che era molto in voga a Roma nella seconda decade del Settecento, l’artista collabora con artisti figurativi per la realizzazione di grandi tele decorative. Tra queste citiamo i dipinti del conte di Schönborn a Pommersfelden, dove i putti sono di Francesco Trevisani e le tele datate 1721 del museo di Budapest in cui fu invece Michele Rocca a collaborare.
La Fototeca Zeri conserva un’immagine di un dipinto molto simile, classificata da Federico Zeri come opera attribuibile a Christian Berentz o a un pittore attivo a Roma nella sua cerchia. L’archivio fotografico indica come ultima provenienza dell’opera il Museo Stefano Bardini di Firenze, appartenente alla collezione Corsi.
Maximilian Pfeiler acquisisce nel tempo una particolare abilità tecnica e possiamo oggi considerarlo un pittore tardo barocco “libero, sciolto, esuberante ed elegante, dotato di una verve di pretto stile romano, innestata su impianti di chiaro scuro nordico, in grado di pervenire ad esiti di assoluta eccellenza decorativa” (Bocchi, 2000).
L'opera è presentata con una cornice guillochè coeva realizzata in legno ebanizzato.
Carlotta Venegoni