XIX secolo, Afrodite Callipiagia
XIX secolo
Afrodite callipigia
Marmo, cm alt. 65
Denominata Callipigia, dall’etimologia Kalòs e Pyge, la scultura romana che ha fatto da modello alla presente opera tratta da un originale greco del III secolo AC, è oggi considerata dagli studiosi la massima espressione della sensualità scolpita nel marmo.
Al momento del rinvenimento nei pressi della Domus Aurea la scultura era senza testa e mancante di altre parti. Acquistata poco dopo dalla potente famiglia Farnese nel 1594, fu fatta restaurare. La scultura con le integrazioni fu collocata a Roma, presso Palazzo Farnese, entrando così a far parte del patrimonio collezionistico di sculture archeologiche dell’omonima famiglia.
La sensuale Venere Callipigia rappresenta la dea in atteggiamento malizioso. Con la mano sinistra e il braccio levato solleva un lembo del chitone a fitte pieghe, la caratteristica tunica ionica priva di maniche di origine orientale, realizzata con un solo telo cucito e di solito fermato sulle spalle con un paio di fibule. Venere per i latini o Afrodite per i greci, era la dea dell’amore e della bellezza e il termine “callipigia” significa “dalle belle natiche”.
Nel 1786, sotto il regno di Ferdinando IV di Borbone, la scultura arrivò nella città partenopea. L’intera collezione Farnese era stata ereditata qualche decennio prima da Carlo, figliolo dell’ultima esponente della famiglia Farnese, Elisabetta.
Dopo quel trasferimento, a Carlo Albacini fu affidato il nuovo restauro della Callipigia. Gli rifece la testa già frutto del restauro precedente, le braccia e una gamba. Alla fine del Settecento l’opera risultava esposta alla Reggia di Capodimonte e successivamente fu portata a quello che era il Palazzo degli Studi, oggi divenuto in Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
La Venere Callipigia non sfuggì all’ingordigia di Napoleone che durante le spoliazioni del patrimonio artistico dei paesi conquistati, mandava i suoi generali a caccia di capolavori da portare in Francia.
Fu il generale Championnet a segnalare l’opera a Napoleone. In una missiva del 25 febbraio del 1799 gli scrisse: “Vi annuncio con piacere che abbiamo trovato ricchezze che credevamo perdute. Oltre ai Gessi di Ercolano che sono a Portoci, vi sono due statue equestri di Nonius, padre e figlio, in marmo; la Venere Callipigia non andrà sola a Parigi, perché abbiamo trovato nella Manifattura di porcellane la superba AGrippina che attende la morte, le statue in marmo a grandezza naturale di Caligola, Marco Aurelio e un bel Mercurio bronzo e busti antichi del marmo del più gran pregio, tra cui quello d’Omero. Il convoglio partirà tra pochi giorni.“
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