Bottega di Andrea Appiani, l'Olimpo

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Bottega di Andrea Appiani (Milano, 1754 – 1817) L’Olimpo (Giove incoronato di mirto dalle Ore porge a Ganimede il nappo per ricevere il nettare) Olio su tela, cm 70 x 144 Con cornice, cm 95 x 169   Nato a Milano nel 1754, Andrea Appiani è considerato uno dei maggiori esponenti...
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Bottega di Andrea Appiani (Milano, 1754 – 1817)

L’Olimpo (Giove incoronato di mirto dalle Ore porge a Ganimede il nappo per ricevere il nettare)

Olio su tela, cm 70 x 144

Con cornice, cm 95 x 169

 

Nato a Milano nel 1754, Andrea Appiani è considerato uno dei maggiori esponenti del Neoclassicismo e del periodo compreso tra l'Illuminismo e le vicende napoleoniche, grazie alla specificità espressiva del suo stile. La sua formazione artistica si svolse principalmente a Milano, entrando in giovanissima età presso la scuola privata di Carlo Maria Giudici, pittore e scultore che allora godeva in città di una distinta notorietà, anche grazie al sodalizio con Anton Raphael Mengs. Negli anni in cui fu allievo del Giudici l'apprendista pittore poté ampliare la propria cultura figurativa e ricevere i primi rudimenti del disegno, studiando e riproducendo le opere dei grandi maestri rinascimentali, quali Raffaello Sanzio e Giulio Romano. Frequentò poi lo studio all'Accademia Ambrosiana del frescante Antonio De Giorgi, con il quale approfondì pittura a confronto diretto col modello di Leonardo e del Luini. Mortogli il padre, Appiani attraversò un periodo segnato da numerose vicissitudini e sofferenze, trovandosi costretto ad adattarsi a lavori diversi per sopravvivere: fu così che dipinse scene e costumi per il Teatro alla Scala, decorò carrozze, eseguì fiori su seta e realizzò opere per il Duomo di Monza e la Villa Reale di Monza. 

Nel 1791 intraprese un viaggio di perfezionamento artistico dalla durata di nove mesi che lo portò a Parma, Bologna, Firenze, giungendo a Roma (dove ammirò Raffaello e la «grazia soave e di retta semplicità» delle pitture di Mengs custodite nella Biblioteca Vaticana) e infine a Napoli, dove rimase colpito dalla statuaria classica ivi esposta. Gli anni seguenti lo videro impegnato in imprese sempre più illustri, come la realizzazione degli affreschi sotto la cupola della chiesa di Santa Maria presso San Celso, con i Quattro Dottori a fianco dei finestroni e i Quattro Evangelisti nei pennacchi: la loro esecuzione procurò subito al pittore milanese fama e nuove commissioni.

La gloria, tuttavia, arrivò definitivamente con il periodo cisalpino. Entrato Napoleone Bonaparte a Milano il 15 maggio 1796 e instaurata la Repubblica, Appiani entrò nelle sue grazie con un riuscitissimo ritratto a carbone e gessetto su carta brunella, venendo eletto nel 1800 «Commissario superiore» per scegliere le migliori opere d'arte lombardo-venete da spedire a Parigi (incarico che evitò per via d'una malattia che lo colse a Verona), e gli affidò anche il disegno di testate, brevetti, allegorie repubblicane per proclami, carte ufficiali, e medaglie, nominandolo nel 1805 “Notre premier peintre”. Dell'Appiani, infatti, sono i disegni per la medaglia dell'incoronazione a Re d'Italia, sebbene la sua opera più nota di questo periodo, tuttavia, fu la serie di affreschi che realizzò in onore dell'epopea napoleonica all'interno di Palazzo Reale, culminante con l'Apoteosi dell'Imperatore, terminata nel 1808 e lodata anche da Stendhal, che scrisse che «la Francia non ha mai prodotto nulla di comparabile», opere distrutte durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Sempre in questi anni, per il gabinetto del sovrano ideò una serie di tele con Storie di Giove, tra cui il sovrapporta qui esaminato, rimasto presso l’artista dopo che si decise di realizzare il ciclo ad affresco monocromo. La tela in esame, riferibile per motivi stilistici ed iconografici alla mano di un allievo della bottega del maestro milanese che riprende fedelmente il celebre modello oggi conservato presso la Pinacoteca di Brera, s’impone come una vera e propria celebrazione dell’Olimpo, raffigurante nello specifico Giove incoronato dalle Ore mentre porge a Ganimede inginocchiato il nappo per ricevere il nettare, affiancato da Giunone e forse da Ebe. Sulla destra sono, invece, schierate le divinità dell’Olimpo, tra le quali si distinguono rispettivamente Ercole, con la clava e la pelle di leone, Minerva, dall’aspetto di giovane guerriera con l’elmo crestato, Mercurio, messaggere degli Dei illustrato con il copricapo alato, Cerere, recante con sé le spighe di grano e con ogni probabilità Apollo. L’opera, nella purezza levigata della stesura pittorica, nei richiami alla pittura raffaellesca e nel rigore compositivo, mostra i caratteri tipici della fase più avanzata di Appiani. Del dipinto esiste una versione monocroma a carboncino e pastello su tela presso la Galleria d’Arte Moderna di Milano.

L’artista si dedicò spesso alla rappresentazione di scene mitologiche e storiche, attingendo alla cultura classica per trovare ispirazione. Le sue opere si distinguono per un'eleganza formale e una delicatezza nell'esecuzione, che lo rendono uno dei più raffinati pittori del suo tempo, riuscendo a coniugare la morbidezza del tratto leonardesco con la rigida classicità, creando un linguaggio pittorico personale e inconfondibile.

 

 

 

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