Busto di Cristo in preghiera

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Seguace di Antonio Campi (Cremona ? – Milano, 1587) Busto di Cristo in preghiera Olio su tela, cm 47 x 37,5   Il linguaggio compositivo e l’utilizzo di una cromia ricca e preziosa, dal rosso acceso della veste al brillante blu del manto e alle lumeggiature delle ciocche dei...
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Ars Antiqua SRL Ars Antiqua apre nel 2000 per iniziativa di Federico Bulga...

Seguace di Antonio Campi (Cremona ? – Milano, 1587)

Busto di Cristo in preghiera

Olio su tela, cm 47 x 37,5

 

Il linguaggio compositivo e l’utilizzo di una cromia ricca e preziosa, dal rosso acceso della veste al brillante blu del manto e alle lumeggiature delle ciocche dei capelli, ma anche l’utilizzo drammatico della luce, vera protagonista della scena, collegano il presente dipinto a un pittore di scuola cremonese ben a conoscenza delle opere dei fratelli Campi, grandi innovatori dell’arte sacra lombarda della seconda meta del XVI secolo. In particolare, grandi legami si intrecciano con la figura di Antonio Campi se si considera il dipinto di medesimo soggetto esposto alle XIX Biennale dell'Antiquariato (2015) di Firenze. Inoltre, il medesimo atteggiamento lo si ritrova nel San Gerolamo del Museo del Prado, in cui i santo con la mano flessa sul cuore in gesto superplastico volge lo sguardo verso il crocefisso e l’apparizione divina, nel nostro dipinto esemplificata dalla luce proveniente da destra.

L’episodio di Cristo che prega intensamente Dio è un tema molto caro ai fratelli Campi che riproporranno l’episodio della preghiera nell’orto del Getsemani più volte come nell’esemplare di Santa Maria della Noce di Inverigo di Antonio o del Museo Diocesano di Pelplinie in Polonia, opera di Vincenzo e Antonio, in cui la nostra attenzione viene calamitata dal volto, in profonda meditazione e concentrazione ma anche angosciosa agonia per l’avvicinarsi della morte. Nel presente dipinto vengono eliminati tutti gli elementi superflui per focalizzarsi sul volto di Cristo, gli occhi al cielo rapiti dalla fonte luminosa e la mano al petto la bocca appena socchiusa riescono ad esprimere un potente senso meditazione e preghiera, qui Cristo infatti non sembra soffrire fisicamente le pene dell’agonia, ma sta meditando intensamente sul destino che lo attende in una chiave di redenzione e di riscatto, pur sapendo di andare incontro alla morte.

I fratelli Campi, Giulio, Antonio e Vincenzo Campi furono tra i pittori più famosi attivi nella Lombardia del Cinquecento. Pittori molto richiesti sia da committenze religiose che laiche, i tre avviarono una vera e propria bottega di famiglia a Cremona, loro città natale, ma la cui attività arrivò fino a Milano e in Spagna. Cremona fu caratterizzata, per tutto il corso del Cinquecento, da un fervido e prolifico ambiente artistico. La posizione di confine consentì alla cultura locale di aprirsi nei confronti delle influenze venete, emiliane, milanesi e mantovane. Questa caratteristica ebbe riscontro nelle numerose commissioni artistiche, favorendo il proliferare dell’attività di artisti “forestieri” del calibro di Romanino e Pordenone. Altrettanto fondamentali per lo sviluppo della cultura artistica cremonese furono i rapporti con l’Europa settentrionale (in particolar modo con l’ambiente fiammingo nei primi decenni del Cinquecento).

In questo animato ambiente culturale si sviluppò la bottega della famiglia Campi. Il capostipite fu Galeazzo, padre dei tre fratelli e anch’egli attivo come pittore a Cremona. Ebbe una scarsa influenza sullo stile dei figli, tanto che il vero e proprio avviatore della scuola campesca può essere identificato nella figura del suo primogenito, Giulio. Questi ricoprì anche il fondamentale ruolo di guida per l’avvio dell’attività dei due fratelli minori Antonio e Vincenzo. La produzione artistica della famiglia fu richiesta da numerosi committenti, per la capacità di far proprie le innovazioni di quegli anni pur mantenendo i propri caratteri distintivi. La bottega dei fratelli Campi si distinse nell’ambiente cittadino anche per la formazione di diversi allievi (uno dei più noti fu Lattanzio Gambara).

La produzione artistica dei tre fratelli è caratterizzata da una certa comunanza stilistica, sotto la guida del maggiore tra i tre, Giulio. Al contempo va indubbiamente riconosciuta la capacità ad Antonio, e ancora di più a Vincenzo, di aver intrapreso una propria e personale strada. Se per alcune opere ancora oggi permane il dubbio su chi sia l’autore tra i tre, si assiste a un progressivo passaggio, dal maggiore al minore, da un’arte più di maniera a una maggiore ricerca di naturalismo. 

Tra le opere fondamentali vi sono gli affreschi realizzati da Giulio e Antonio chiesa di San Sigismondo a Cremona realizzati a partire dal 1554 affreschi che risentono dell’influenza di Giulio Romano sull’arte di Giulio.

Sono questi gli anni in cui l’arte di Antonio Campi si avvicina molto a quella del fratello maggiore e le collaborazioni tra i due sono molto stringenti come dimostrano le sale affrescate in Palazzo Barbò a Torre Pallavicina (BG) e Palazzo Maggi a Cadignano.Attorno agli anni Sessata del secolo i tre fratelli si affacciano sulla scena artistica milanese; qui partecipano, nel 1564,  al concorso per realizzare le ante d’organo del Duomo, la loro candidatura fu appoggiata dall’arcivescovo Carlo Borromeo, grande estimatore della loro pittura. È a partire dagli anni Settanta del secolo che Antonio si stacca dalla figura fraterna per abbracciare uno stile più personale molto apprezzato dalla committenza milanese tra le opere più celebri come è la celebre Crocifissione con episodi della Passione di Cristo del 1569 ( di cui realizzò una replica per Carlo borromeo) e la  Decollazione del Battista del 1571 e il Martirio di San Lorenzo del 1581, entrambe realizzate per la chiesa di San Paolo Converso.  In questi dipinti emerge una maggiore attenzione alla resa naturalistica, certamente a seguito di studi di modelli dal vero, anche per gli effetti luministici.

 

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