Metà del XVI secolo, da Antonio Allegri, detto Il Correggio, Madonna della scala

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Metà del XVI secolo, da Antonio Allegri, detto Il Correggio Madonna della scala  Olio su tavola, cm 26 x 21 Con cornice, cm 46 x 41   L’opera in questione costituisce una copia della celeberrima Madonna della Scala di Antonio Allegri, detto il Correggio. L’immagine sacra,...
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Metà del XVI secolo, da Antonio Allegri, detto Il Correggio

Madonna della scala 

Olio su tavola, cm 26 x 21

Con cornice, cm 46 x 41

 

L’opera in questione costituisce una copia della celeberrima Madonna della Scala di Antonio Allegri, detto il Correggio. L’immagine sacra, particolarmente venerata dai cittadini di Parma – si trattava molto probabilmente di una committenza civica – era stata affrescata dal celeberrimo maestro attivo a cavallo tra il Quattrocento ed il Cinquecento direttamente sulla cinta muraria della città, al di sopra della porta di San Michele. La maggior parte degli storici dell’arte ritiene il dipinto eseguito nel medesimo periodo rispetto al ciclo di affreschi della chiesa di San Giovanni Evangelista, dunque nel periodo del raggiungimento della piena maturità artistica da parte del Correggio. L’artista, il più acclamato dal Vasari, che lo ritiene uno dei primi fautori della “maniera moderna”, per quanto concerne il panorama pittorico del Nord Italia, si rende responsabile di opere meravigliose, come gli affreschi della Camera della Badessa, quelli del Duomo di Parma, con l’assunzione della Vergine, quelli della chiesa di San Giovanni Battista, la Madonna della seggiola, la Madonna di Dresda ed il ricco ed articolato ciclo degli Amori di Giove. Giorgio Vasari, tra le altre opere di mano dell’Allegri, aveva osservato la Madonna della Scala nel 1542 durante il suo passaggio a Parma: vale la pena di ricordarne le ammirate parole: “Dipinse ancora sopra una porta di quella città una Nostra Donna, che ha il figliuolo in braccio, ch’è stupenda cosa a vedere il vago colorito in fresco di questa opera, dove ne ha riportato da forestieri viandanti, che non hanno visto altro di suo, lode et onore infinito” (Vite… 1568). L’affresco, particolarmente caro alla cittadinanza parmense, era sopravvissuto ai molteplici ampliamenti che le mura avevano subito sin dagli anni ’20 del ‘500; particolarmente precario era però il suo stato conservativo: era stato dipinto su una superficie sconnessa e nel tempo aveva subito interventi devozionali arbitrari e vistose ridipinture, con l’aggiunta nella zona superiore della tenda e di parte della testa della Vergine, che furono rimosse durante il restauro del 1948 (inv. 31; cfr. Viola 1998, pp. 18-19).

L’opera era stata dipinta su una superficie sconnessa e nel tempo aveva subito interventi devozionali arbitrari e vistose ridipinture, con l’aggiunta nella zona superiore della tenda e di parte della testa della Vergine, che furono rimosse durante il restauro del 1948 (inv. 31; cfr. Viola 1998, pp. 18-19). Per garantirne un migliore stato conservativo l’affresco era stato strappato e trasportato su tela nel 1812. L’affresco, già tradotto in incisione nel XVIII secolo da vari maestri (cfr. Mussini 1996, pp. 136-140), godeva nell’Ottocento di una particolare fortuna visiva: numerose sono infatti le copie di XIX secolo di questo soggetto: una delle più note è quella di Paolo Toschi, esposta, così come l’originale correggesco, a Parma a Palazzo della Pilotta: l’opera di Toschi, un acquarello su carata datato 1839, particolarmente accurato nei piani cromatici, saturi e molto rosati, è stato tradotto a bulino dallo stesso artista nell’estate del 1852 come XI dispensa dell’intero corpus dedicato ai Freschi di Correggio (cfr. Mavilla 1992b, n. 638, p. 134; Mussini 1996, p. 139, n. 171), incrementando ulteriormente la fortuna visiva della composizione. 

Questa versione cinquecentesca della Madonna della Scala presenta le medesime tinte pastellate e sature della versione originale correggesca, a cui si aggiunge un inedito tratto di preziosismo, quello del fondo oro: considerando la profonda venerazione popolare a cui la Madonna della scala, sin dalle origini della sua storia, era sottoposta, si può pensare che questa piccola e preziosa tavola fosse stata realizzata da un artista, molto probabilmente emiliano, per la devozione privata. Questa variante mantiene perfettamente la dolcezza e la profonda intimità nel rapporto tra la Vergine e il Bambino della versione correggesca del principio del Cinquecento. Anche la cornice del dipinto risulta essere coeva e di grande valore.

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