Paesaggio con rovine e personaggi .Alessio de Marchis (Napoli 1684- Urbino1752)
Soggetto: paesaggio con rovine e personaggi
Autore: Alessio de Marchis (Napoli 1684- Urbino1752)
Tecnica e dimensioni: olio su tela; 95 x 70 cm
La tecnica pittorica contraddistinta da pennellata vibranti, pastose, figurine risolte a macchia, unita ad un elevato, intenso,preromantico lirismo nel più genuino omaggio alla tradizione rosiana, qui resuscitata, ma filtrata dal linguaggio di scuola romana non alieno da suggestioni fiamminghe, tutte queste caratteristiche ben rintracciabili nel nostro paesaggio con rovine, permettono di non escludere una sua probabile attribuzione al pittore di origini partenopea e di formazione romana Alessio De Marchis (Napoli 1684-Urbino 1752).
Sull’artista, la cui tela in oggetto è databile alla prima maturità, periodo in cui gli influssi della pittura romana di paesaggio, resi con pennellate veloci ed a macchia, si diluiscono attraverso un linguaggio settecentesco in grado di rielaborare tutte le citate suggestioni con singolare autonomia ed originalità, le notizie biografiche sono sostanzialmente fornite da Nicola Pio e dall’abate Lanzi, che ne ricordano succintamente la formazione romana presso lo studio di Rosa da Tivoli e la protezione da parte del cardinale Annibale Albani, che gli valse parte della decorazione pittorica nell’omonimo palazzo di Urbino nonché parte della cappella del Collegio Gregoriano ed una sala del palazzo dei Priori, entrambe a Perugia.
Tuttavia, bisogna attendere il XX secolo, e precisamente gli anni settanta, perché ad Alessio de Marchis venga attribuita la giusta importanza nell’ambito della storia della pittura di paesaggio: è stato infatti merito di Andrea Busiri Vici, attraverso una pubblicazione del 1976 edita da Ugo Bozzi e consacrata alla pittura di paesaggio romana fra seicento e settecento, quello di riconferire piena dignità critica ad un pittore, il De Marchis, finalmente sottratto all’ oblio in cui era caduto assieme ad altri due paesaggisti, romani di tendenza rococò, Paolo Anesi (1697-1773) e Paolo Monaldi (1710-1779).
Sostanzialmente il Busiri inaugurava un nuovo orientamento critico, destinato ad avere successo, in primis finalizzato a “liberare” il Trittico Anesi, Monaldi e De Marchis dalla prigione ermeneutica della mera pittura decorativa, fruibile e gradevole, ma di per sé non ascrivibile alla categoria della grande arte perché aliena da ogni forma di problematizzazione ed implicazione intellettualmente rilevante sotto il profilo storico-critico.
Al contrario, Busiri Vici apriva un solco destinato a riconoscere tutta l’originalità di un artista come ha avuto modo di sottolineareadeguatamente Luca Bortolotti in occasione della mostra (dalla collezione di Aldo Poggi) di Bertolami Fine Art (Palazzo Caetani Lovatelli, 2018): “Assieme ai lavori di Salerno, Briganti e pochi altri, le appassionate fatiche di Busiri servirono, da un lato a mettere a fuoco una questione reale (riposizionare adeguatamente sulla scena artistica della loro epoca artisti guardati con sufficienza dalla critica), mentre dall’altro ebbero l’effetto di riportare l’attenzione del mercato su maestri e generi pittorici ritenuti minori e poco valorizzati commercialmente. …Ciò delineò così una congiuntura di costante crescita commerciale…”.
Proprio la citata congiuntura di crescita commerciale e valorizzazione del De Marchis nel mercato dei collezionisti, ha finito per correre di pari passo con la sua riscoperta critica come nel caso della monografia di Andrea Milani del 1994 “Alessio De Marchis e la sua bottega”, volume perlopiù concentrato sull’attività dell’Artista tra Umbria e Marche per arrivare anche all’esposizione del 2016 “Alessio De Marchis e i pittori di paesaggio a Roma tra Sei e Settecento” (Bitonto, Galleria Nazionale della Puglia, “Girolamo e Rosaria Devanna”), recente testimonianza di una fortuna critica in inarrestabile ascesa.
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