Bottega di Paolo Veronese, XVII secolo Convito in casa di Levi
Bottega di Paolo Veronese, XVII secolo
Convito in casa di Levi
Olio su tela, cm 87 x 200
L’imponente tela in esame, dallo sviluppo orizzontale, riprende una tra le opere certamente più iconiche dell’intera produzione dell’artista Paolo Caliari detto il Veronese (1528 – 1588), Il Convito in casa di Levi, facendo supporre che l’autore gravitasse proprio nella bottega del maestro.
A primo impatto, data la posizione appena distolta dalla centralità del quadro del capo di Cristo ed i vari e disordinati dibattiti che avvengono alla sua destra e sinistra, ricorda Il Cenacolo di Leonardo da Vinci: una lunga tavolata con al centro l’immagine di Cristo, ai cui lati molte persone stanno intraprendendo un dibattito, a volte molto acceso, come si può notare dall’espressività dei volti, all’interno di una grande stanza. Tuttavia, le differenze sono sostanziali ed evidenti, dalla prospettiva di veduta del quadro all’ambientazione ai soggetti raffigurati al momento storico. Questo climax discendente permette, partendo da una visione d’insieme, di arrivare a comprendere e notare anche i minimi particolari nei personaggi più caratteristici del quadro. Per quanto riguarda la prospettiva s’intende subito come essa sia centrale: di fronte all’osservatore appare l’immagine di Cristo con una leggera aureola di colore giallo appena sopra la testa. L’ambientazione è invece di tipo regale, la cena si sta svolgendo all’interno di uno sfarzoso e ricco palazzo signorile cinquecentesco di Venezia, in cui la tavolata centrale è posta al di sotto di una loggia tripartita da due ordini di tre archi a tutto sesto, sorretti ciascuno da due colonne con capitello corinzio e divisi da una colonna più grande dello stesso ordine al centro. Al di sopra delle volte l’artista arriva sino a raffigurare le varie sculture di color oro del palazzo, il quale presenta un’inconfondibile gusto per i canoni dell’epoca classica, come si può notare dalla geometria del pavimento intarsiato, dagli ordini architettonici, dai corrimani e dalle varie rappresentazioni scultoree presenti nell’intera sala.
Con il Concilio di Trento, in pieno spirito controriformista, venne deciso un ferreo controllo delle produzioni artistiche con il decreto De invocatione, veneratione et reliquis sanctorum et sacris imaginibus (1563). Sebbene non fosse stato specificato un preciso metodo interpretativo, e quindi inquisitorio, l'obiettivo era che opere fossero chiare ai fedeli (cioè senza complessi richiami) e fedeli alle scritture. Negli anni successivi si provvide infatti a pubblicare alcuni "manuali di istruzione", come per esempio le Instructiones fabricae et suppellectilis ecclesiasticae (1577) di Carlo Borromeo (1538-1584), e il Discorso intorno le immagini sacre e profane (1582) di Gabriele Paleotti. In questa temperie, il dipinto di Veronese, che originariamente raffigurava l’episodio evangelico dell’Ultima Cena, fu trovato improprio a rappresentare l'istituzione dell'eucaristia. Oltre alla presenza di personaggi estranei, il dito venne puntato sulla presenza di todeschi, evidentemente identificabili come protestanti, sull'uomo che perde sangue dal naso e sul buffone ubriaco, precisi indizi che si volesse dileggiare il sacramento; a suscitare contrarietà contribuivano cani, pappagalli, uomini ebbri e nani. Il pittore venne così convocato e interrogato dal tribunale il 13 luglio 1573, cercando di difendersi invocando umilmente le licenze poetiche e la necessità di riempire la grande scena, tipiche del suo mestiere. Si dichiarò anche disponibile a qualsiasi modifica che non intaccasse la qualità del dipinto, andando di fatto a modificarne il titoli in Convito in casa di Levi, l’esattore delle tasse che organizzò la cena per festeggiare la chiamata di Cristo.
Il tema sacro dell’Ultima Cena fu trasformato dal Veronese nella scenografica rappresentazione di un banchetto signorile. La scena è ambientata all’interno di un palazzo in stile Classico cinquecentesco. Le architetture sono ricche e sontuose. Spiccano decorazioni, bassorilievi, colonne e capitelli decorati. Lo sfondo è rappresentato da una prospettiva esterna di facciate e edifici dell’epoca. Lo stesso tipo di ambientazione si ritrova nel dipinto Le Nozze di Cana.
Da un punto di vista formale, il dipinto in esame è realizzato proprio secondo i modi del Veronese, con colori chiari e luminosi tipici del suo stile: il chiaroscuro è ridotto al minimo o del tutto assente, accostando colori complementari per differenziare le forme. L’artista, influenzato dalla corrente manierista veneta, realizza figure molto accurate e dettagliate rese monumentali dal modellato dei corpi. La resa scenografica dell’episodio è poi ulteriormente favorita dall’inquadratura dal basso verso l’alto, oltre che dalle posizioni dei personaggi dinamiche e attentamente studiate per costruire un’immagine di forte impatto.
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