Filippo Lauri (1623-1694), Martirio di Santo Stefano

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Filippo Lauri (Roma, 1623-ivi, 1694) Martirio di Santo Stefano Olio su rame ottagonale, cm 75 x 53,5 Con cornice, cm 90,5 x 69 Brillante esponente del naturalismo classicista, Filippo Lauri tenne memoria in una nota inviata il 19 febbraio del 1678 allo storico Francesco Saverio...
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Filippo Lauri (Roma, 1623-ivi, 1694)

Martirio di Santo Stefano

Olio su rame ottagonale, cm 75 x 53,5

Con cornice, cm 90,5 x 69

Brillante esponente del naturalismo classicista, Filippo Lauri tenne memoria in una nota inviata il 19 febbraio del 1678 allo storico Francesco Saverio Baldinucci dell’esecuzione di un “Martirio di Santo Stefano, depinto in tavola ottagolata de mesura di tre palmi e mezzo”. La citazione, ricordata da Brejon de Lavargne (Seicento: le siècle de Caravage dans les collections Françaises, Paris 1988, pp. 258-259, n. 92) è stata utilizzata per circostanziare una tela affine alla presente, oggi in custodia presso il Musée des Augustins di Tolone, la quale consente di sollevare, pertanto, l’intera cronologia della genesi autoriale. Il dipinto in esame, ricalcante quanto pubblicato in Fototeca Zeri (inv. 47821), corrisponde infatti alla descrizione trasmessa in nota dall’autore ma differisce, rispetto al dipinto francese, per l’aggiunta di un gruppo di cristiani sgomenti alle spalle del manigoldo a sinistra. Considerando la simile comitiva sul lato opposto del dipinto e l’abitudine del Lauri nel soppesare specularmente il taglio lungo di un paesaggio (Baccanale, Allegoria della Primavera e Giudizio di Mida, tutte in collezione privata), è possibile supporre che il presente possa essere stato la tela prima da cui l’artista stesso o i suoi allievi abbiano in seguito tratto il diritto di replica. Fermo restando che il metro di misura utilizzato dall’artista sia intraducibile, mancando la specificazione regionale del palmo e l’indicazione se la misurazione valesse per la lunghezza del dipinto o per il taglio obliquo, le dimensioni dell’opera, di ben 75 x 53,5 cm, incoraggerebbero l’ipotesi del primato, misurando la tela di Tolone, così come un secondo esemplare in collezione privata, ugualmente 46 x 64 cm e forse in ragione di una riproduzione seriale.

Figlio del pittore fiammingo Balthasar Lawer, italianizzato in Baldassarre Lauri, Filippo nacque a Roma. Sottopostosi agli insegnamenti in materia artistica prima del padre e poi del fratello maggiore Francesco, Lauri si pose sotto l’egida di Andrea Sacchi e Angelo Caroselli. Oltre alla breve ma decisiva opera del biografo Francesco Saverio Baldinucci, intitolata Vita di Filippo Lauri, la sussistenza di svariate note composte dal diretto pugno dell’artista forniscono un catalogo, almeno nominalmente, inoppugnabile. Entrato nell’Accademia di S. Luca nel 1654, Filippo ottenne le grazie del suo primo mecenate, Alessandro Vittrice, che lo incoraggiò verso la decorazione del purtroppo perduto casino Farnese presso Porta S. Pancrazio. In questa circostanza, Filippo fu al soldo dello stesso Girolamo Farnese, sia quando questi era, prima, governatore di Roma che quando venne eletto cardinale. Alle due campagne decorative, Lauri alternò l’impresa a fresco per la galleria di Alessandro VII papa entro il Palazzo del Quirinale. L’intercessione del Farnese, maggiordomo dei Palazzi apostolici a partire dal 1656, inserì l’artista nella squadra già diretta da Pietro Berrettini da Cortona. In questa circostanza, Filippo si dimostrò abile figurinista e delicato caratterizzante, iniziando una stretta collaborazione con paesaggisti e naturamorfisti quali Claude Lorrain, Jan Frans van Bloemen, Niccolò Codazzi e Giovanni Ghisolfi, nonché Filippo Gagliardi, con il quale eseguì il dipinto raffigurante La Giostra dei Caroselli per ricordare e celebrare la festa svoltasi a Palazzo Barberini in onore di Cristina di Svezia durante il carnevale del 1656 (oggi Roma, Palazzo Braschi). 

Oltre agli affreschi per i mezzanini di palazzo Borghese, per i quali l’artista ottenne il plauso della critica, le decorazioni per Santa Maria della Pace eseguite attorno al biennio del 1668-1670 risultano illuminanti circa l’inventiva narratoriale di Filippo, doppiamente dedito a soggetti profani e sacri.  I collezionisti aristocratici smanianti le sue opere erano sia romani che stranieri, spesso di eccellenti natali come fu il caso di Niccolò Pallavicini, che commissionò al pittore un Viaggio di Giacobbe, oggi conservato presso Hampton Court Palace di Londra.

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