Cleopatra scioglie l'orecchino di perla nell’aceto

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Scuola romana, XVIII secolo Cleopatra scioglie l'orecchino di perla nell’aceto Olio su tela, cm 121 x 92   Secondo quanto narrato da Plinio il Vecchio (Naturalis Historia, IX, 120), Cleopatra, volendo dimostrare a Marcantonio il proprio totale disinteresse nei confronti del...
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Ars Antiqua SRL Ars Antiqua apre nel 2000 per iniziativa di Federico Bulga...

Scuola romana, XVIII secolo

Cleopatra scioglie l'orecchino di perla nell’aceto

Olio su tela, cm 121 x 92

 

Secondo quanto narrato da Plinio il Vecchio (Naturalis Historia, IX, 120), Cleopatra, volendo dimostrare a Marcantonio il proprio totale disinteresse nei confronti del lusso, si tolse un meraviglioso orecchino di perla che la andava ornando e lo gettò in un calice di aceto. La perla si consumò immediatamente: decisa a continuare, la regina venne fermata dagli astanti. 

Metafora del lusso imperante in Egitto, questo episodio venne scelto dal ricco banchiere spoletino Francesco Montioni per il proprio ciclo di eroine pronte alle virtù femminili, commissionato a uno degli artisti preferiti del mercante: Carlo Maratta. Oggi custodito presso il Museo Nazionale di Palazzo Venezia, il dipinto, da cui il presente trae ispirazione, raffigura la regina egiziana in abiti settecenteschi, rispettando la consuetudine del tempo alla ricollocazione contemporanea dei personaggi storici. È noto come Maratta abbia chiesto di posare alla figlia Faustina, sua rodata modella; il progetto relativo alle virtù femminili non fu tuttavia mai terminato e la tela venne donata dal cardinale Troiano Acquaviva al collega Tommaso Ruffo di Motta Bagnara. 

Divenuto principe dell’Accademia di San Luca nel 1664, Carlo Maratta (1625-1713) eseguì la Cleopatra attorno al 1693-95, quando si era ormai pienamente affermato sul mercato della capitale. La morte del Bernini nel 1680 evidenziò ulteriormente la sua supremazia artistica sulla scena romana, agitata anche dalle richieste dei notabili ecclesiastici che andavano commissionando al pittore un numero costante di lavori. Gli anni Novanta incontrarono invece il favore di privati committenti, quali il marchese Niccolò Pallavicini, e di diverse confraternite. Antesignane del presente dipinto, soprattutto in merito all’iconografia, restano tuttavia le scene storiche di Elisabetta Sirani (1638-1665) e con esse i molteplici ritratti dei personaggi femminili rappresentativi. Formatasi alla bottega del padre Giovanni Andrea, a sua volta allievo e collaboratore di Guido Reni, Sirani attirò, come avverrà poi per Maratta, gli interessi dell’élite bolognese costituita da mercanti, nobili e accademici. La sua attitudine storicista la condusse al servizio di Vittoria della Rovere prima, granduchessa di Toscana, e di Eleonora Gonzaga poi, imperatrice del Sacro Romano Impero.

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