Matteo Ghidoni detto dei pitocchi attr.(1626 ca. - 1689) Coppia di scene popolaresche con pitocchi

AA-408975
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Matteo Ghidoni detto dei pitocchi attr. (Firenze (?), 1626 ca. - Padova, 1689) Coppia di scene popolaresche (2) Olio su tela, cm 38,5 x 77,5   La coppia di tele raffiguranti scene popolaresche sono da attribuire a Matteo Ghidoni, detto dei Pitocchi (1626 ca.-1689), pittore attivo...
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Matteo Ghidoni detto dei pitocchi attr. (Firenze (?), 1626 ca. - Padova, 1689)
Coppia di scene popolaresche
(2) Olio su tela, cm 38,5 x 77,5
 
La coppia di tele raffiguranti scene popolaresche sono da attribuire a Matteo Ghidoni, detto dei Pitocchi (1626 ca.-1689), pittore attivo principalmente in Veneto, in area padovana, dove è documentato intorno alla metà del secolo. Deve il suo soprannome all’abitudine di “rappresentar mendichi, de’ quali in Venezia, in Vicenza, in Verona e altrove, esistono nelle Gallerie de’ signori, teste ed anche quadri scherzevoli e capricciosi da lui fatti” (Lanzi, 1789, ed. 1813, p. 155). Oscuro rimane il suo percorso formativo il cui ambito, secondo Pallucchini (1981), va ricercato nel filone del naturalismo bambocciante alla Callot. Un confronto diretto della conoscenza dell’opera grafica e incisoria di Jacques Callot (1592-1635) si trova nelle cinque piccole tele oggi presso il Museo di Padova (Collezione Emo Capodilista). Scarsi sono i riferimenti cronologici precisi nel catalogo di Matteo Ghidoni, che annovera anche un discreto numero di opere realizzate per le chiese padovane, tra i quali quelli documentati per la Basilica del Santo (1652, 1667, 1684) e la pala con i Santi Filippo Neri e Felice da Cantalice (San Tommaso Cantauriense), probabilmente eseguita nel settimo decennio. Si dedica anche ad opere per la devozione privata (Cristo scaccia i mercanti dal tempio, Piscina probatica, mercato antiquario). Tuttavia il soprannome del pittore testimonia che la sua notorietà era legata alla produzione di scene di pitocchi. Dipinti appartenenti a questo genere erano presenti non solo in collezioni padovane, veneziane e rodigine, ma anche oltre i confini della Serenissima. Legato al genere pauperistico è l’influenza che Eberhard Keil detto Monsù Bernardo, in Veneto intorno agli anni Cinquanta, può avere ispirato il Ghidoni. La tematica del “pitocco” si svolge però in Matteo con una genericità di riferimenti umani e sociali ben lontani dall’approfondimento poetico di Monsù Bernardo.
È attraverso la firma apposta sul verso di una tela in Collezione Eredi Ferri raffigurante Festa campestre con acrobati che si è potuto sintetizzare i tratti distintivi dello stile del Ghidoni, che privilegia una tecnica pittorica rapida e corsiva, di materia corposa, incentrata su di un unico registro cromatico povero, quasi bituminoso, illuminato da improvvise accensioni cromatiche. La sua pittura risente sia della lezione del Fetti e dello Strozzi che degli esempi dei tenebrosi veneziani. 
In una delle tele esaminate emerge la cifra stilistica circa l’impianto spaziale preciso, definito da una quinta architettonica che digrada in diagonale, verso una profonda apertura paesaggistica che si estende fino all’orizzonte. Tale ricorrente tipo di impaginazione pare essere ripresa da Ghidoni dai bamboccianti romani di seconda generazione, come Lingelbach o Helmbreker. Entrambe le tele si caratterizzano per la presenza in primo piano di numerosi personaggi in un momento di sosta, caratterizzati dalle differenti espressioni e pose. 
 
L- Lanzi, Storia pittorica della Italia, I ed., 1792; II redazione, voll. I-II, Bassano del Grappa, Remondini, 1795-1796.
R. Pallucchini, La pittura veneziana del Seicento, Milano, 1981, pp. 287-289.
M. Gregori, Nuovi accertamenti in Toscana sulla pittura caricata e giocosa, in “Arte antica e moderna”, IV, 1961, pp. 411-416.
F. Porzio (a cura di), Da Caravaggio a Ceruti. La scena di genere e l’immaginario dei Pitocchi nella pittura italiana, 1998, pp. 479-480.

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