Carlo Bonomi (Turbigo, 1880 – Turbigo, 1961), Mucche

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Carlo Bonomi (Turbigo, 1880 – Turbigo, 1961) Mucche Olio su tela, cm 57 x 81 Con cornice, cm 95 x 122     Nato a Turbigo, comune della provincia milanese nella Valle del Ticino, Carlo Bonomi frequentò l’Accademia di Brera dal 1898 al 1904 e successivamente prese parte ad una...
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Carlo Bonomi (Turbigo, 1880 – Turbigo, 1961)

Mucche

Olio su tela, cm 57 x 81

Con cornice, cm 95 x 122

 

 

Nato a Turbigo, comune della provincia milanese nella Valle del Ticino, Carlo Bonomi frequentò l’Accademia di Brera dal 1898 al 1904 e successivamente prese parte ad una serie di corsi presso l’Accademia di Belle arti di Monaco di Baviera tra il 1905 ed il 1907, dove entrò in contatto con le opere dei maestri Von Stuck e Lembach e dove conobbe la “verità popolare” dei dipinti di Kathe Kollwitz. Al principio del Novecento è datato anche un formativo soggiorno di studio dell’artista a Roma. Tornato a Milano dopo il viaggio romano, Bonomi aprì nel capoluogo lombardo uno studio insieme a Carrà, Castiglioni e Barilli che presto diventò un importante punto di riferimento per gli artisti operativi al principio del Novecento in città. Arruolatosi volontario nella prima guerra mondiale, prestò servizio nelle prime linee in Cadore e sul Monte Grappa; l’esperienza bellica segnò fortemente l’immaginario dell’artista, che, nelle opere del secondo e del terzo decennio del XX secolo, ritrae le tragedie e le sofferenze dei soldati e dei civili in guerra: un esempio di cruciale importanza di questa tendenza è fornito da I prigionieri di Mauthausen, dipinto eseguito tra il 1922 ed il 1923 e presentato per la prima volta alla Mostra degli ex-combattenti di Monza del 1924 entro cui l’artista, riprendendo in maniera assolutamente anti-retorica un’opera come Il martirio dei beati francescani a Nagasaki di Tanzio da Varallo alla Pinacoteca di Brera, esprime alla perfezione la sua ribellione e la sua totale presa di distanza rispetto alla brutalità del conflitto. Bonomi si ispira, soprattutto nei primi anni della sua lunga carriera, ai modelli tardo ottocenteschi dei più celebri membri della cerchia divisionista lombarda, primi tra tutti Gaetano Previati, Giovanni Segantini e Giuseppe Pellizza da Volpedo, reinterpretati in chiave sobria e plastica. Esemplificativo di questa tendenza è un dipinto come Sinfonia pastorale: l’opera, che prende le mosse da Le due madri di Segantini della GAM diMilano, riprende il tema della madre che allatta il bimbo in grembo fra il calore delle pecore all’alba. A partire dalla seconda metà degli anni ’10 del Novecento, Bonomi si dedica prevalentemente alla scultura, che diviene, da questo momento in poi, la forma più continua della sua espressione artistica. Le sue opere scultoree sono presenti in differenti luoghi pubblici e cimiteri o in collezioni private, fra i quali si ricordano: il Cimitero Monumentale di Milano o quelli di Busto Arsizio, Gallarate e Turbigo, nonché i giardini pubblici di Novara. La sua opera plasticata più celebre è però certamente La Mater: questo bronzo, realizzato nel 1915 e perfezionato successivamente tra il 1923 ed il 1948, rappresenta una donna nell’atto di stringere il piccolo a sé, in un intenso scambio emotivo. L’opera viene presentata per la prima volta in occasione della Prima Mostra del “Novecento Italiano”, tenutasi alla Permanente di Milano del 1926 e sostenuta ed animata da Margherita Sarfatti: nellostesso anno, la scultura è esposta alla mostra di Dresda ed è acquistata dal governo tedesco per essere collocata nel Palazzo dei ministeri a Berlino. Tale opera fa di Bonomi “uno scultore assoluto, nel quale essenza ed esistenza coincidono, inquadrandolo così tra i grandi scultori del Novecento la cui integrità formale è pressoché unica e trova il perfetto equilibrio tra pittura e scultura, con la stessa continuità ideale affermata da Michelangelo” (V. Sgarbi, Il Novecento, vol. 1, 2018, pp. 158-165). Bonomi è noto anche per la sua attività di architetto: note sono le operazioni di restauro messe in atto su suo progetto presso il Castello di Turbigo ed il Broletto di Novara.

Nella sua copiosa produzione, sia pittorica che scultorea, l’artista non viene mai meno ad alcuni tratti che contraddistinguono la sua opera: una malinconia rassegnata, ma piena di pura commozione, un’austerità che esprime un dolore ritenuto intimo e non teatrale, un’umanità posata, che procede per velature e rifugge dalle tinte forti, una religiosità di natura laicale, concentrata sui valori dell’umana esistenza.

In quest’opera appartenente probabilmente alla prima stagione della produzione dell’artista l’ispirazione ai modelli di Segantini appare evidente: dipinti come Mucca all’abbeveratoio della GAM di Milano o Alla stanga della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma costituiscono un punto di partenza imprescindibile per l’artista originario di Turbigo. Rispetto alle opere di Segantini però la pittura appare più densa e materica; è lo stesso artista a ribadire la sua netta preferenza per una pittura dalla spiccata componente materica («Io dico che la pittura mi pare più tenuta buona, quanto più va verso il rilievo»). Contrariamente alla stragrande maggioranza delle opere di Bonomi, in questo caso i colori appaiono particolarmente sgargianti e la scena, irradiata da una brillante luce mattutina, trasmette un’atmosfera di pacata serenità. 

 

 

 

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