Scuola veneta, XVII secolo

Trasporto di Cristo al sepolcro

olio su tela, cm 40 x 104,5

L’esaurirsi delle correnti tardomanieristiche maturate in seno all’opera capitale di Tiziano, del Veronese e del Tintoretto provocò un generale spirito di ripresa formale dei grandi maestri. Non soltanto i diretti allievi di bottega, ma anche gli esponenti di varie fraglie artistiche nonché regionali iniziarono a professare una cieca imitazione, spesso non comprendendo pienamente le ragioni artistiche dei grandi ispiratori. Gli esponenti più brillanti e lungimiranti delle code dei maestri furono riuniti dal Boschini nella cerchia delle cosiddette sette maniere. Questa genialità veneziana, iniziata con Jacopo Negretti detto Palma il Giovane (1548 ca-1628) in modalità “forte e gagliarda” si concluse teoricamente con Gerolamo Pilotti, scomparso nel 1649, passando per Andrea Vicentino (1542 ca.-1617), Santo Peranda (1566-1638), Antonio Vassillacchi detto l’Aliense (1566-1629), Pietro Malombra (1566-1618), Leonardo Corona (1561-1605). Palma il Giovane fu uno due più prolifici artisti italiani, superato solamente da Luca Giordano. Forte di un soggiorno urbinate e della fondamentale pausa romana, Negretti preferì raccogliere il seminato del Tintoretto piuttosto che di Tiziano: la sua personale declinazione dell’arte veneta, sfumata dall’iperbole romana, consente tuttavia di avvicinare il presente ad alcune sue opere omologhe. Soggetto caro all’artista e replicato in diverse occasioni, il dipinto si accosta infatti al compianto sul Cristo morto delle Gallerie dell’Accademia veneziana per la figurazione degli angioletti, similmente a quello del Museo Civico d’Arte e Territorio Gianni Bellini di Sarnico. Il Cristo del Museo Civico di Belluno, così come quello della  Fondazione Cassa di Risparmio di Reggio Emilia Manodori, si accostano invece alle morbide pennellate del presente, illuminato da un vibrante utilizzo dei colori saggiati sul tonalismo veneto.

I raffinati accostamenti cromatici, ben calibrati tra tonalità calde e fredde impiegate per le vesti degli angeli, in contrasto con le tonalità acide dell’incarnato del Cristo a sottolinearne la condizione di morte indicano la provenienza dell’opera da un pittore appartenente alla scuola veneta del Cinquecento. I riferimenti a tale scuola sono ravvisabili dal confronto con le opere dei celebri maestri veneziani quali Tintoretto e Veronese, che nei loro dipinti di tema analogo sono soliti riempire lo spazio, con grande teatralità, di personaggi, giocando sui contrasti chiaroscurali intensificati dall’ambientazione spesso notturna che accentua altresì la carica emotiva del soggetto, insieme all’impiego di particolari tonalità di colori intensi e talvolta acidi.  Competitivamente l’opera trova analogie con il Compianto sul cristo morto di Tintoretto ove si ravvede il posizionamento spiccato del Cristo, accerchiato stavolta dalle pie donne. 

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