Olio su tela La predica di San Francesco Saverio. XVII secolo

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Soggetto: La predica di San Francesco Saverio. Autore: Francesco Curradi (Firenze 1570-1661) Tecnica e dimensioni: olio su tela, cm. 136 x 96.   Il pregevole dipinto che presentiamo rappresenta uno dei momenti più alti della missione del gesuita spagnolo, originario della...
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Soggetto: La predica di San Francesco Saverio.

Autore: Francesco Curradi (Firenze 1570-1661)

Tecnica e dimensioni: olio su tela, cm. 136 x 96.

 

Il pregevole dipinto che presentiamo rappresenta uno dei momenti più alti della missione del gesuita spagnolo, originario della Navarra, Francesco Saverio, uno dei primi compagni di sant’Ignazio di Loyola, da lui conosciuto all’università di Parigi: inviato ad evangelizzare le Indie nel 1541 dal re del Portogallo Giovanni III, ammalatosi di malaria nel corso di un viaggio dalla Malacca all’isola di Sangian, morì nel 1552. Il suo corpo fu portato a Goa, dove attualmente riposa nella chiesa del Bom Jesus, inserita nella World Heritage List dell’Unesco. 

Il successo della sua missione fu tale che venne canonizzato da papa Gregorio XV nel 1622. Il paliotto in argento che chiude il sepolcro del santo reca in bassorilievo proprio la rappresentazione della scena immortalata anche dalla nostra tela così come da buona parte della produzione pittorica agiografica controriformistica dedicata al santo. 

Un punto di più diretto collegamento tra il bassorilievo di Goa e la nostra tela è la straordinaria prossimità iconografica, verosimilmente spiegabile con una collocazione in ambito fiorentino anche del nostro dipinto: sappiamo infatti che il mausoleo destinato ad ospitare l’urna argentea del santo a Goa  è un’opera che coinvolse l’opificio fiorentino delle pietre dure negli anni tra il 1689 ed il 1695, realizzata   dalla manifattura granducale per volere del Granduca di Toscana Cosimo III in segno di gratitudine nei confronti dei Gesuiti di Goa che gli avevano donato una reliquia del santo (un cuscino).

Ciò premesso, e, considerata la prossimità iconografica di cui sopra tra il bassorilievo ed il dipinto che esaminiamo, l’ipotesi di un’origine fiorentina anche per la nostra tela non sembra affatto peregrina.

Ad una più attenta analisi, essa può essere ricondotta all’opera di Francesco Curradi (1570-1661), autore di un omonimo soggetto, di dimensioni più considerevoli (360 x 250), conservato nella chiesa fiorentina di San Giovannino dei Padri Scolopi (quarta cappella, lato destro), che sotto Cosimo III, nel 1723, venne arricchita ed abbellita da marmi donati dallo stesso Granduca.

Ulteriore elemento a favore dell’ascrizione del dipinto al Curradi, il più importante esponente della pittura devozionale fiorentina della prima metà del XVII secolo, precursore del Dolci, è una caratteristica intrinseca all’opera che analizziamo, rilevata ed apprezzata dal Lanzi (L. Lanzi, Storia pittorica della Italia (1809), a cura di M. Capucci I, Firenze 1968, p. 154) in altri soggetti sacri del pittore fiorentino: le figure piccole.

Fermamente convinto che le migliori opere del Curradi (autore di numerose pale d’altare destinate alle chiese fiorentine nonché a quelle di altre città toscane come Pisa, Siena, Livorno, Volterra, Pescia) fossero proprio quelle a figure piccole, il Lanzi citava a riguardo il Martirio di santa Tecla (ora agli Uffizi) e la serie di lunette con Storie della Maddalena, già nella Cappella della Villa di Poggio Imperiale ed ora a Palazzo Pitti (i disegni preparatori si conservano presso il Gabinetto delle stampe di Roma).  Ulteriore esempio di questo aspetto della produzione del Curradi prediletto dal Lanzi doveva essere il dipinto raffigurante I Cinque Santi canonizzati da Urbano VIII, citato nel settecento nella collezione Tartini di Firenze (cfr. Serie, 1774, p. 138, n. 1). 

Nella nostra tela, al pari di altre composizioni agiografiche del Curradi, emerge palesemente la prossimità di stile con il purismo devoto del coetaneo Matteo Rosselli (è certa la collaborazione in varie opere con quest’ultimo come con Jacopo da Empoli e con il Passignano per i medesimi committenti): l’educazione manieristica ricevuta nella bottega del Naldini è trasformata e rivisitata in uno stile “riformato” ed improntato ai principi del “disegno” e del “decoro”, tipici della pittura fiorentina del primo seicento, alla quale il Curradi rimase sostanzialmente fedele tanto da divenire un pittore ricercato dai collezionisti fiorentini come testimoniano le sue frequenti citazioni negli inventari ottocenteschi. 

Apprezzabile è l’attenzione alle tematiche orientaliste, ravvisabile nella raffigurazione dei personaggi di colore dalla “mise” piumata e con turbanti. 

 

 

 

 

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