Studio con testa di cherubino, Scuola veneta, XVIII secolo

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Scuola Veneta, XVIII secolo Studio con testa di cherubino Olio su tela, cm 45,5 x 41 – con cornice cm 54,5 x 49,5 Il presente si qualifica come studio o bozzetto preparatorio in virtù dell’impaginazione strutturale e figurale; in ragione di evidenze formali e sostanziali è riconducibile...
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Scuola Veneta, XVIII secolo
Studio con testa di cherubino
Olio su tela, cm 45,5 x 41 – con cornice cm 54,5 x 49,5

Il presente si qualifica come studio o bozzetto preparatorio in virtù dell’impaginazione strutturale e figurale; in ragione di evidenze formali e sostanziali è riconducibile alla maniera matura di stampo neoveneto, che allo scavalco del Settecento aveva iniziato a produrre figurazioni di estremo patetismo tipologico ed espressionismo formale. La coeva esperienza pittorica tiepolesca comandò la scena artistica veneziana, una volta esautorata la lezione di Pier Francesco Mola (1612-1666). 
La delicata testa di putto qui offerta, in cui è riconoscibile un cherubino per via della felice soluzione iconografica delle alucce poste al di sotto del viso dell’angioletto, si tratteggia di un vigoroso vitalismo. Un punto di vista scorciato ne illumina in modo radente il volto, scandagliandone i tratti con forti ombre e con un giovanile rossore che ne arancia le guance. La perfezione veristica con cui l’artista ne dispone il sembiante è di meravigliosa espressività. Gli occhi sono gonfi di intensità, e denunciano insieme alla generale impostazione della testa una consapevole riflessione sulla fisionomia, peculiare entro il contesto emergente della pittura veneta. 
Il dipinto in esame risente delle produzioni di ampio respiro, contemporaneamente monumentali e prospettiche, allora in auge nel territorio della Serenissima. Concepito mediante una visione dal basso, il ritratto enuclea dal rococò veneto quella particolare predilezione per i modi aperti e chiari, ariosi, denunciati in prima battuta dal Tiepolo. Il consapevole distacco dal decorativismo pure cortonesco e dalle reiterate soluzioni impaginative allora in auge consentono di accostare il presente alla produzione di Francesco Fontebasso, che con Gaspare Diziani aveva dato avvio ad un felice rinnovo della pittura veneziana, tramite una definitiva riflessione sui modi ormai istituiti, pure genialmente, dal Ricci, dal Pellegrini e dal Tiepolo.  Fontebasso, nato nel 1707, morì un anno dopo il Canaletto (1769); dalla fede oscillante continuamente tra il Ricci, di cui fu primo allievo, e il Tiepolo, Fontebasso fece parte dei cosiddetti “artisti viaggianti”, che mediante il continuo peregrinare tra cittadine e corti del nord Italia e d’Europa, consentirono la capillare diffusione degli stilemi veneziani, assicurandone una ritrovata preminenza. Pur tenendosi fedele alla lezione del maestro, Fontebasso recepì un vitale impulso dall’eleganza figurale promossa dall’Accademia di san Luca romana, quando giunse nella capitale nel 1728; vòlto quindi a Bologna, l’artista raccolse la calda congerie classicheggiante e a tratti quadraturista, specie emiliana, e se ne tornò nella natia Venezia. Qui ottenne un’importante commissione da Sebastiano Uccelli per l’affrescatura di Ca’ Zenobio, presso Treviso; seguirono quindi le impetuose figure per i Manin nella prima cappella della villa di Passariano (1732) e per i gesuiti della Chiesa dei Gesuiti, con le scene di Elia rapito in cielo e Gli angeli appaiono ad Abramo, di chiara memoria tiepolesca. In un crescendo di commesse, l’artista si dedicò dal 1759, nella città di Trento, alla realizzazione di diciannove tele relative a Vecchio e Nuovo Testamento per la Sala Grande del refettorio del Buon Consiglio; l’apoteosi artistica lo raggiunse in seguito, grazie all’incalzante richiesta di sue opere da parte delle maggiorenti famiglie veneziane: Duodo, Bernardi, Boldù, Barbarigo, Contarini. L’artista raggiunse nel 1761 la zarista San Pietroburgo, per decorare il plafond della chiesa del Palazzo d’Inverno.
Si considerino, relativamente al presente cherubino, le splendide fisionomie raggiunte dal Fontebasso nel dipinto Coppia di contadine e un bambino, conservato presso la Galleria Fondantico di Bologna, in cui il fanciullo appare davvero tiepolesco nell’impostazione, nonché quasi eguale al presente, nel viso; gli stessi volti di bambino compaiono nei dipinti Apparizione della Madonna a San Girolamo (collezione privata) ed Europa sale sul dorso del toro (collezione privata fiorentina); infine negli angioletti che scendono dal cielo del San Francesco da Paola del Bode Museum (già Kaiser Friedrich, Berlino).

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