Dipinto di Pietro Domenico Ollivero, Manio Annio Curio Dentato riceve gli ambasciatori dei Sanniti, 1740 circa

AA-343242
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Pietro Domenico Ollivero,  Manio Annio Curio Dentato riceve gli ambasciatori dei Sanniti, 1740 circa Olio su tela, misure telaio: cm L 52 x H 64,5 (2 cm spessore) Prezzo: trattativa riservata oggetto corredato da certificato di autenticità ed expertise di Carlotta Venegoni...
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Pietro Domenico Ollivero, Manio Annio Curio Dentato riceve gli ambasciatori dei Sanniti, 1740 circa

Olio su tela, misure telaio: cm L 52 x H 64,5 (2 cm spessore)

Prezzo: trattativa riservata

oggetto corredato da certificato di autenticità ed expertise di Carlotta Venegoni (scaricabile a fondo pagina)

L’opera in oggetto raffigura la scena di Manio Annio Curio Dentato che riceve gli ambasciatori dei Sanniti ed è stata realizzata dal celebre pittore piemontese Pietro Domenico Ollivero. La tela, di formato ovale, riporta sul retro la targa della Galleria Caretto di Torino con l’autentica di Giorgio Caretto del 1965. L’opera inoltre fu pubblicata su “I Piaceri e le Grazie” da Arabella Cifani e Franco Monetti nel 1993.

Il soggetto si rifà alla storia di Roma e ad un episodio narrato dallo storico Valerio Massimo. Manio Curio Dentato (Manius Curius Dentatus; 330 a.C. – 270 a.C.), uno dei grandi Romani del III secolo a. C., fu un console della Roma antica, conosciuto per aver messo fine alle guerre sannitiche. Eletto console nel 290 a.C. insieme a Publio Cornelio Rufino, nello stesso anno combatté e vinse la Terza guerra contro i Sanniti e i loro alleati, ponendo così fine ad un conflitto che durava da 49 anni. Sottomise definitivamente i Sabini e l'esercito greco di Pirro nella battaglia di Benevento. Rappresentò il prototipo ideale del romano antico per le generazioni che seguirono in quanto si sottrasse alle onorificenze pubbliche; Catone il censore, che ne raccolse i detti, lo collocava fra le grandi figure della storia universale. Per secoli dopo la sua morte (avvenuta nel 270 a.C. mentre sovrintendeva ai lavori per la costruzione del secondo acquedotto di Roma) si raccontarono le sue imprese militari e si elogiò la sua rettitudine morale, quale esempio per tutti i Romani. Ollivero, nella colta scelta dell’episodio, illustra il momento in cui Manio Curio Dentato si fa trovare nella sua dimora, caratterizzata da mura romane, seduto presso il fuoco, su una rustica panca mentre consuma il suo pasto in un “ligneo catillo”. Sulla sinistra giungono degli ambasciatori che gli offrono denaro e altri preziosi. Il rifiuto dell’eroe romano avvenne con l’esclamazione riportata da Valerio Massimo: “narrate Sannitibus M. Curium malle locupletibus imperare quam ipsum fieri locupletem” (dite ai Sanniti che Manio Curio preferirebbe regnare sui ricchi piuttosto che arricchirsi lui stesso). L’amore del poco e la povertà sono elementi caratterizzanti della vita di Ollivero e della scelta dei suoi soggetti. Il fatto che conoscesse l’opera di Valerio Massimo conferma la sua articolata cultura. L’artista inoltre rappresenta nuovamente l’episodio con grande vivezza in un piccolo quadretto, già su tavola e ora su tela, pendant con una Sofonisba che beve il veleno. Non sono molte le opere note con soggetto storico di Pietro Domenico Ollivero; tuttavia la presente, datata agli anni Quaranta del Settecento, unitamente a pochi ma significativi altri esempi, dimostrano la capacità dell’autore di toccare temi storici anche non comuni mantenendo una grande qualità artistica, insinuando una nuova linea pittorica nel suo vasto panorama di soggetti.

Pietro Domenico Ollivero (Torino, 1° agosto 1679 – Torino, 13 gennaio 1755) è unanimemente riconosciuto maestro nell'ambito della pittura bambocciante italiana della prima metà del Settecento. A lui si deve infatti una fedele immagine della società torinese dell'epoca grazie alla sua spiccata capacità di delineare con grazia ed umanità le folle e i luoghi della capitale subalpina settecentesca, consegnandoci una preziosa testimonianza della civiltà piemontese del suo tempo. Nato a Torino nel 1679, il suo cognome ricorre nei documenti in diverse grafie. Tuttavia nelle parcelle, nei disegni e nel testamento olografo, il pittore si firmò sempre Pietro Domenico Ollivero. Nel censimento di Torino del 1705 venne registrato come storpio e in molto disegni e dipinti ritrasse la propria deformità con ironia. Secondo le fonti fu allievo del pittore e architetto Melchior Baldassarre Bianco e subì fortemente l’influsso dei pittori olandesi e fiamminghi attivi a Torino nella seconda metà dei XVII secolo: Melchior Hamers, Peter Mauritz Bolckman, Abraham Godyn, Jean-Baptiste Abret, Jean Miel. Fu protetto dal re Vittorio Amedeo II di Savoia; tuttavia, ai temi più convenzionali che gli proponeva l’illustre mecenate, Ollivero preferì ritrarre strade e piazze della sua città, studiando soprattutto i caratteri sociali dei ceti più umili. Fu molto apprezzato dalla nobiltà sabauda e dalla corte che gli procurarono committenze continuative fino ai suoi ultimi anni di vita. Tra le committenze più importanti si segnala Pietro Mellarède, ministro dell’Interno di Vittorio Amedeo II, che possedeva 15 sue tele, scalate fra 1698 e gli anni Venti del Settecento, tuttora conservate nel castello di Betton Bettonnet in Savoia. Nel 1711 aveva una bottega già avviata e sono documentati lavori per la Venaria Reale (1714) e palazzo reale di Torino (1716). Nel 1717 appare per la prima volta tra i confratelli della Confraternita dei Ss. Maurizio e Lazzaro di Torino, di cui fu collaboratore, consigliere emerito e benefattore fino alla morte. Nel 1726 fu eletto priore della Accademia di S. Luca di Torino. In questi anni di piena maturità fu favorito dall’appoggio del primo pittore di corte Claudio Francesco Beaumont e del potente ministro Carlo Vincenzo Ferrero di Roasio marchese d’Ormea che gli commissionò decine di dipinti per le residenze di Cavoretto, Torino e Montaldo Torinese. Lavorò per il castello di Agliè (1737), per il palazzo reale di Torino, per la Palazzina di caccia di Stupinigi, per il castello di Guarene. Del 1743 sono le opere Notturno con il falò di S. Giovanni Battista a Torino e una Processione alla Madonna del Pilone (entrambe conservate nel Museo civico d’arte antica di Torino). Nel 1745 e 1746 si dedicò alla progettazione di scenografie per il teatro Regio di Torino; fornì inoltre disegni di scene di genere e di battaglie all’ebanista Luigi Prinotto e ad altri ebanisti torinesi del primo Settecento .ricordano, in particolare, le opere per la palazzina di Caccia di Stupinigi, per la quale eseguì, dal 1748 al maggio 1753, almeno una trentina di quadri, in parte destinati a sovrapporte. Il 15 novembre 1754 firmò il testamento. Morì a Torino il 13 gennaio 1755 e fu sepolto, per sua disposizione, nella basilica Mauriziana.

Carlotta Venegoni

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