La Mia Città, anno 1977 -Giuseppe Rivadossi Nave (Brescia) 1935

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Struttura monolitica in tiglio di selva rifinita a taglio di sgorbia Firmata e datata dall’artista Misure: cm 71x59x36   Giuseppe Rivadossi  (Nave, 8 luglio 1935) Ereditato l'interesse per l'arte dal padre Clemente, Rivadossi inizia ufficialmente la sua carriera artistica negli...
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Struttura monolitica in tiglio di selva rifinita a taglio di sgorbia

Firmata e datata dall’artista

Misure: cm 71x59x36

 

Giuseppe Rivadossi  (Nave, 8 luglio 1935)

Ereditato l'interesse per l'arte dal padre Clemente, Rivadossi inizia ufficialmente la sua carriera artistica negli anni sessanta, avvicinandosi alla studio della scultura in legno, della terracotta e della lavorazione del bronzo, interessandosi fin dall'inizio dello spazio domestico che diventerà poi uno dei temi chiave di tutta la sua opera.

Negli anni settanta, grazie all'attenzione di amici come Francesca Amadio e di importanti galleristi come Renato Cardazzo, Elio Palmisano e Alfredo Paglione, comincia la sua stagione espositiva come scultore che lo vedrà esporre in diversi appuntamenti artistici nazionali e internazionali come alla Triennale di Milano (1974), alla Biennale di Mentone (1976), alla Rotonda della Besana (1980), al Palazzo del Ridotto di Cesena (1996) e alla Galleria d'arte moderna Palazzo Forti di Verona (2005).

Del lavoro e della poetica di Giuseppe Rivadossi hanno scritto fra gli altri: Giovanni Testori, Vittorio Sgarbi, Roberto Tassi, Gianfranco Bruno, Marco Vallora, Ermanno Olmi, Giorgio Cortenova, Piercarlo Santini, Mario Botta.

 

Dice Giuseppe Rivadossi:

Ho visto lavorare il legno fin da quando ero bambino.

Ho visto crescere boschi e tagliare alberi di ogni misura e qualità.

Ho visto mio padre trasformare questi legni in meravigliose botti e in bellissimi carri per i contadini vicini.

Fino a venti venticinque anni fa, dove ora vivo, il rapporto uomo uomo, uomo natura, era ancora basato su un’etica antica.

Poi arrivò l’industria e con essa ebbe inizio il saccheggio.

La speranza di una vita meno dura si tramutò presto in un’amara constatazione.

La nuova tecnologia che doveva essere solo uno strumento più perfezionato si rivelò uno strumento di frustrazione e di disgregazione generale.

Ora in questa situazione sento sempre più profondamente il bisogno di esprimere quel senso di unità di fondo dell’esistere, come idea base da non perdere o da ritrovare a tutti i costi ogni giorno e in ogni cosa.

Io considero l’ambiente nella sua totalità di natura e di intervento umano, l’opera d’arte unica alla quale tutto appartiene e nella quale tutti siamo.

Io credo che (Arte) sia tutto il lavoro dell’uomo e, parlando del mio lavoro (che considero per quello che è, solo una piccolissima parte di quell’opera unica nella quale tutti bene o male operiamo e viviamo) vi dirò che anch’io come mio padre ho iniziato costruendo mobili e cose varie in legno per la mia gente.

Andando avanti mi resi conto che queste cose dovevano essere costruite secondo esigenze profonde e precise.

Mi trovai così a lavorare a dei contenitori (mobili) e delle sculture con un aspetto sempre più in contrasto con l’ambiente che degenerando andava trasformandosi e impoverendosi, e mi accorsi che queste mie cose andavano assumendo sempre maggiore significato, sia per la forma di costruirle sia per il materiale usato (il legno). Lasciai allora perdere in parte la funzione del contenere per una funzione diversa.

Arrivai così a queste ultime, immagini nelle quali l’idea di un vivere diverso, di un vivere dentro, (dentro la vita, dentro le cose della vita) è figurata attraverso strutture che realizzo partendo da una progettazione precisa e recuperando come linguaggio primario tutta la comune tecnica della falegnameria.

Ora queste immagini, queste sculture e questi mobili nascono dal profondo della mia esperienza come un canto, di quella speranza e di quell’unica alternativa che ci sta davanti più che di nostalgia per il passato.

Giuseppe Rivadossi

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Antichita' Santa Giulia

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